I Nativi Americani condividono con altri popoli non occidentali l’essere stati derubati della storia. Cristallizzati in un’immagine fissa da cinematografia, fumetti e arte popolare, gli Indiani sono una casella avulsa dal tempo e dallo spazio, alimentata dal mito della loro scomparsa. Ma i nativi non sono scomparsi, non sono uno stereotipo fisso, hanno combattuto per sopravvivere e ci sono riusciti.
Dalle foreste orientali alle Grandi Pianure, dai deserti occidentali fino alle regioni artiche, il nordamerica ha visto lo sviluppo di centinaia di popoli e culture differenti, che si sono adattate all’ambiente che li ospitava. Una varietà che non ebbe mai posto nella costruzione dello stereotipo dell’Indiano: uno stereotipo basato sulla cultura delle Grandi Pianure, che per ironia della sorte fu il risultato di precisi eventi storici avvenuti nel XVII secolo: la reintroduzione del cavallo nel Sud Ovest da parte degli spagnoli e la comparsa della armi da fuoco al seguito di francesi e inglesi nell’est del continente.
Le stesse Grandi Pianure, l’enorme spazio che va dal declinare delle foreste orientali nordamericane alle pendici delle Montagne Rocciose, contiene a sua volta vari popoli di origini diverse, i cui nomi risuonano in tutti coloro che amano le storie e i miti del Far West: Cheyenne, Comanche, Piedi Neri, Apache, Crow, Kiowa, Pawnee, Sioux, solo per citarne alcuni. Chi seminomade e orticoltore, chi prevalentemente cacciatore, molti di questi popoli, durante il XVII secolo, forti della reintroduzione del cavallo e la comparsa delle armi da fuoco, trovarono più redditizio dedicarsi interamente alla caccia al bisonte, alla razzia e al commercio di cavalli. Da qui, l’iconica tenda trasportabile, il tipi; l’immagine dell’indiano a cavallo, la pipa sacra, il commercio con i bianchi nei pressi dei forti, e tutto ciò che comunemente si associa a quel monstrum di storia e mito che è l’epopea dell’Ovest americano. In questo monstrum alcuni nomi e cose risaltano più di altre: Sioux, Nuvola Rossa, Cavallo Pazzo, la Danza del Sole, Toro Seduto, Wounded Knee.

I Sioux erano stanziati da millenni tra la regione dei Grandi Laghi, in Minnesota, all’attuale area tra il Sud e il Nord Dakota, dove vivevano a fianco dei Cheyenne, da cui gradualmente appresero l’uso del cavallo. Chiamati a seconda del loro dialetto Dakota, Nakota e Lakota, hanno a loro volta divisioni interne: le sette divisioni, dette Sette Fuochi. Erano raggruppamenti fluidi, con capi informali che si guadagnavano l’autorità in battaglia. Centro della loro spiritualità sono le Black Hills, da dove Inktomi, divinità ingannatrice, fece uscire il primo degli uomini, Tokahe, dal sottosuolo dove viveva con gli altri. Da quel momento gli uomini potettero godere di ciò che la terra offriva: acqua, venti, praterie e bisonti. Le visioni, in cui gli uomini ricevevano moniti, indicazioni e comunicazioni dal variegato mondo soprannaturale, erano alla base del sistema religioso, nel quale il Sole, divinità principale, e altre entità spirituali bilanciavano la vita sopra, sotto, e sulla superficie della Terra. I Sioux sono in perenne contatto con queste forze, evocabili e con cui è possibile comunicare in ogni momento: tramite la pipa, ad esempio, il cui fumo, salendo in alto, ringrazia dei e spiriti o ripara a torti e mancanze. Lo stesso bisonte, le cui mandrie facevano tremare la terra a chilometri di distanza, era portatore di una forza che andava rispettata, onorata e propiziata con la Danza del Sole, lunga cerimonia che si teneva prima delle grandi cacce estive. Rituale lungo e complesso, entrato nel mito, il cui significato sta nell’omaggiare il Sole fissandolo dritto negli occhi, appesi con una corda fatta passare attraverso i muscoli pettorali. L’uomo non possiede che sé stesso, il suo corpo: è questa, infatti, la più grande offerta che possa fare.
Questo era il popolo che sarà protagonista di una delle più famose e raccontate guerre indiane: quelle tra il neonato governo americano e la nazione Sioux. Pochi secoli possono vantare la densità di avvenimenti epocali del XIX secolo, pressochè in tutto il pianeta. Il nordamerica non fa eccezione. La nazione americana, dopo aver sconfitto la madrepatria Inghilterra, inizia ad attirare migliaia di immigrati dall’Europa. Più tardi i due sistemi economici del giovane paese, il Nord industriale e mercantilista, l’Unione, e il Sud agricolo e schiavista, gli Stati Confederati d’America, finiscono per scontrarsi in una lunga e logorante guerra civile. La vittoria del Nord, nel 1865, è il definitivo atto di nascita degli Stati Uniti, e c’era ancora una cosa da fare: conquistare definitivamente l’Ovest del continente e schiacciare gli Indiani.
Conflitti a bassa intensità tra euroamericani e nativi, in realtà, erano iniziati prima della fine della guerra civile americana. Alcuni indiani combatterono a fianco ora degli inglesi nella guerra di indipendenza, e poi con gli eserciti confederati del Sud. Ma il vero motivo del contendere era la terra e l’uso che ne facevano i coloni europei, che crescevano continuamente di numero: il disboscamento, l’aratura, la parcellizzazione delle praterie minacciavano uno stile di vita basato sulla caccia, la raccolta e il seminomadismo. Come è accaduto in altre parti del mondo, gli europei consideravano “vuoto politico” qualsiasi forma di sovranità che escludesse poteri costituiti, confini certi, stati, eserciti, proprietà private, prigioni. In questo senso, le nazioni indiane non esistevano. E se avessero insistito nel voler continuare a esserci sarebbero state spazzate via, in nome del “destino manifesto” dei neonati Stati Uniti: un vago, non ben definito e molto sfaccettato ideale di libertà da diffondere nel mondo. Quello che non era affatto vago era a chi questa libertà era riservata: gli uomini bianchi.
A questo punto il governo americano, sotto la presidenza dell’ex generale dell’esercito unionista Ulysses Grant, decise di avvalersi dei vittoriosi quadri militari nordisti della guerra civile, tra cui l’implacabile Sheridan, agli ordini del generale William T. Sherman, terrore degli eserciti e dei civili del Sud confederato. Sheridan che non ebbe alcuno scrupolo durante la guerra civile, come ammesso da lui stesso:
“E’ difficile piegare un popolo di combattenti risoluti e coraggiosi; ma mettete alla fame le loro donne e i loro bambini, e vedrete i fucili cadere dalle mani dei soldati”
Strumento principale della conquista dell’Ovest da parte degli euroamericani erano i forti militari, posti sui grandi fiumi che attraversavano i territori da conquistare. Ai forti e alla loro costruzione sul fiume Missouri il Lakota Sioux Nuvola Rossa e il Cheyenne Naso Romano non concessero tregua, e intralciarono anche la costruzione della ferrovia sulla pista Bozeman, che conduceva alle miniere d’oro nel Montana. L’efficace, fulminea e incessarte guerriglia fecero guadagnare loro una sostanziale vittoria: il Trattato di Fort Laramie, nel 1868. Con esso il governo americano si impegnava a “riservare” alla nazione Sioux un vasto territorio, che comprendeva le Black Hills, nel Sud Dakota occidentale, e si impegnava a demolire i forti e a dismettere la pista Bozeman. Nasceva in quell’anno la grande Riserva di Standing Rock.

L’anno dopo, nel 1869, la ferrovia che collegava l’Est all’Ovest si congiunse nello Utah, dopo lo sfiancante lavoro di innumerevoli operai. La costruzione della ferrovia richiese ingenti somme di materiali e di cibo: le mandrie di bisonti, ormai cacciati da chiunque, iniziarono a declinare, anche perché la caccia divenne uno sport che attirava uomini armati di fucile da ogni dove. Lo scenario ecologico alla base del modo di vita Sioux era minacciato, e la guerriglia contro i bianchi, militari o civili che fossero, era l’unica risposta possibile. L’assalto alle carovane, ai telegrafi, alle fattorie, che tanta parte ebbero nella filmografia western, erano numerosi. I Sioux erano un nemico veloce, invisibile, fulmineo, e conosceva quei luoghi meglio di chiunque altro. Ma ci fu dell’altro: intorno al 1874, si diffuse la voce che nelle Black Hills potesse esserci l’oro. Avventurieri, coloni e cercatori dilagarono nella Riserva, in aperta violazione del Trattato di Fort Laramie, e facendo pressioni sul governo affinché aprisse la zona all’esplorazione e alla ricerca. Il governo americano commise un errore fatale: per ristabilire l’ordine, mandò il Settimo Reggimento di Cavalleria, comandato da George Armstrong Custer, ex combattente nordista. Fu come ammettere apertamente che l’oro, nelle Black Hills, c’era.
Custer era impulsivo, egocentrico, poco riflessivo: aiutò l’Unione a vincere la fatale battaglia di Gettysburg, nel 1864. Il suo carattere però non gli permise di conservare il grado provvisorio di generale, restando, fino alla fine della sua vita, tenente colonnello. Gli Indiani lo temevano e lo rispettavano, tanto da denominarlo “Lunga Capigliatura”. La sua spedizione nelle Black Hills fu un fiammifero acceso lanciato su una tanica di benzina, benchè Nuvola Rossa, data la scarsità di risorse e bisonti, volesse prima trattare. Ma le trattative fallirono: i risarcimenti offerti ai Sioux erano considerati insufficienti.
All’epoca, bande di Sioux razziavano e si spostavano fuori dalla Riserva, come accadeva dall’alba della loro storia. Tra di loro vi erano Toro Seduto e Cavallo Pazzo. Quando le autorità militari ordinarono loro di rientrare, iniziò l’ultimo atto della guerra, nel 1876. Sheridan aveva ai suoi ordini George Crook, “Volpe Grigia”, valido ed equilibrato, fresco di vittoria sugli Apache del New Mexico e dell’Arizona, il generale Alfred Terry, e George Custer.
Custer, nel 1875, aveva testimoniato contro un collaboratore dell’allora presidente Grant, William Belknap, accusato di corruzione. La sua posizione era più precaria che mai, e forse aveva pensato di venirne fuori con una grossa impresa militare. La sua avventatezza, aggiunta al genio militare di Cavallo Pazzo, portò a una delle più grandi vittorie indiane: Little Big Horn.
La colonna di Crook arrivò in anticipo, e resistette per non rischiare altre perdite; cosi’ facendo, i Sioux ritardavano il suo incontro con gli uomini di Terry e di Custer. Quest’ultimo, da parte sua, non attese rinforzi, come gli era stato più volte ripetuto da Terry, e si avventò sull’accampamento Sioux a Little Big Horn, di cui non sospettava la grandezza. Cavallo Pazzo si lanciò su una delle divisioni della colonna che Custer aveva diviso. Fu il caos, nonché la fine di Custer, che non sopravvisse.
“Solo il cielo e la terra sono immortali: noi no! Questo è un buon giorno per combattere! Questo è un buon giorno per morire!”
Cavallo Pazzo
La guerra continuò per ancora un mese circa, e nonostante la battaglia vinta, i Sioux dovettero accettare la resa. Cavallo Pazzo fu vigliaccamente ucciso a tradimento nel 1877. Fu sepolto nella valle del Wounded Knee.
La guerra era persa, i bisonti in via d’estinzione, i coloni ormai erano ovunque: l’inquietudine prese possesso delle nazioni Sioux, che iniziavano a temere che un prezioso equilibrio si fosse spezzato per sempre. La religione indiana, e quella Sioux in particolare, sempre aperta a influenze esterne, si apri’ a quella del movimento profetico di Wovoka, un paiute del Nevada: la Danza degli Spettri. Si trattava di un sincretismo tra cristianesimo e spiritualità nativa. Wovoka credeva nel ritorno dei bisonti, dei tempi felici degli antenati e nella pace con l’uomo bianco. Il messaggio religioso di Wovoka si diffuse con facilità nelle stremate tribù delle Grandi Pianure, seppur emendato dalla pace con i bianchi. Perno di tutto era la Danza , che riaffermava antichi valori, antichi rituali, esaltava la forza guerriera e rendeva immuni alle pallottole. Il governo americano temeva ulteriori disordini, e la bandi’ ovunque. Nel 1890, dei dissidi interni alla Riserva portarono all’assassinio di Toro Seduto, accusato a torto di far parte del movimento.
La morte di Toro Seduto spaventò la sua gente, i Lakota Hunkpapa, che scapparono preso il Wounded Knee, con il vecchio capo Piede Grosso, dove alzarono bandiera bianca. Quando arrivò l’esercito americano, bastò un colpo da parte, forse, di un guerriero Sioux per scatenare l’eccidio di trecento uomini, donne e bambini.
Fu l’epilogo tragico della più famosa delle guerre indiane, ma ce ne furono altre meno note in tutto il territorio del nordamerica. I nativi, seppur sconfitti, non scomparsero dalla faccia della terra. Oggi sono il due per cento circa della popolazione statunitense; le Riserve conservano i tratti fondamentali delle culture precoloniali, ibridate, cambiate, autenticamente americane. Dal 2016, a Standing Rock è iniziata una protesta contro la costruzione di un oleodotto, il Dakota Access Pipeline, che ha tenuto il progetto fermo per un anno e ha ricordato al mondo il protagonismo Sioux. L’oleodotto minaccia direttamente le riserve idriche, ma nonostante ciò Donald Trump diede l’ordine per rilanciare i lavori, nel 2017. Ma la politica attiva, nativa e non, ha bloccato di nuovo i lavori nel giugno 2020.
Le iniziative native per riaffermare la propria voce e la propria vita attraversano gli Stati Uniti, e danno un prezioso contributo ai movimenti per la salvaguardia ambientale. Nuvola Rossa profetizzava che nel XXI secolo, la cultura lakota sarebbe stata affrancata dalla dominazione bianca e sarebbe fiorita di nuovo, e gli Stati Uniti attuali sembrano averne un disperato bisogno.
Bibliografia
Raimondo Luraghi, Sul sentiero della guerra, Bur, Roma, 2000
Elvira Stefania Tiberini, Senza Riserve, Bulzoni, Roma 1999
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